L’idea che il «servizio pubblico» statale possa raggiungere meglio gli oggettivi di qualità e di diversità rispetto al libero mercato corrisponde alla promessa vana e superficiale dell’economia pianificata di colmare qualsiasi lacuna e rispondere a tutti i bisogni nell’intero territorio.
Ora, gli obiettivi ufficiali non sono necessariamente equivalenti agli obiettivi desiderabili. Nell’economia privata i desideri espliciti dei consumatori determinano il successo di un’impresa e garantiscono proprio la diversità e la qualità di numerosi servizi d’informazione e di divertimento, ma anche di beni essenziali tra cui l’alimentazione, il vestiario, l’immobiliario. Sono le preferenze dei consumatori, e non un pianificatore centrale onnisciente, ad assicurare le quantità e le qualità volute. Perché non dovrebbe valere lo stesso anche nel caso dei media elettronici e della Società Svizzera di radiotelevisione?
Con lo sviluppo delle tecnologie digitali, delle reti cablate, dei satelliti e delle ritrasmissioni via internet, i media elettronici hanno definitivamente perso la loro qualità di «beni pubblici», per quanto abbiano mai assolto questo ruolo. Ormai i prodotti mediatici possono essere consumati molto facilmente in modo personalizzato: le offerte forfettarie, gli abbonamenti (in maniera analoga ai media stampati o in linea), i sistemi pay-on-demand e di altre opzioni di scelta individuale sono accessibili a tutti, senza restrizione.
Leggere il rapporto:
L’anacronismo del finanziamento obbligatorio dei media nell’era digitale
(8 pagine, PDF)