Il 23 novembre 2023 l’Istituto Liberale ha organizzato l’evento Le ragioni dello scambio e della pace. La lezione di Richard Cobden, in collaborazione con Students For Liberty Svizzera e LPU (Law and Politics in USI). Al centro della serata ci sono stati il pensiero dell’economista inglese ottocentesco Richard Cobden (1804-1865) e le sue analisi sui benefici dello scambio internazionale. Aderente alla Scuola di Manchester, Cobden oggi è evocato raramente e soprattutto per citare i suoi argomenti contro il protezionismo. Tuttavia, la sua azione s’è estesa ben oltre, focalizzandosi anche sui vantaggi che la liberalizzazione dei commerci internazionali porta alla pace e alla stabilità dell’ordine geopolitico.
Dopo una breve presentazione di Paolo Pamini, vicepresidente della sezione italofona dell’Istituto Liberale, ha preso la parola il relatore della serata, Alberto Mingardi, presidente dell’Istituto Bruno Leoni e professore di storia delle dottrine politiche all’Università IULM di Milano. Il tema del suo intervento è stata la presentazione della recente antologia da lui curata, Scritti e discorsi politici. Il libero scambio per la pace tra le nazioni (edito da Rubbettino). Mingardi ha offerto al lettore di lingua italiana la possibilità di accostare la complessità del pensiero del principale esponente del movimento manchesteriano: a partire dalla tesi secondo cui la libertà economica è uno scudo contro la guerra tra le nazioni. Un richiamo attualissimo nell’odierno scacchiere di tensioni geopolitiche, al punto d’incontro tra economia politica e politica economica. La ricerca intellettuale di Cobden prende ovviamente le mosse dalle riflessioni di Adam Smith, all’origine dell’economia classica. Tuttavia egli ha inteso calare quelle considerazioni sul contesto internazionale, a partire proprio dall’atteggiamento che la corona inglese avrebbe dovuto mantenere nei confronti del neonato Stato francese post-rivoluzionario.
In particolare, nelle sue analisi Cobden muove da quel passaggio della Ricchezza delle nazioni secondo cui la prosperità di un Paese non è quel tipo di cosa che un governo dovrebbe invidiare o ostacolare nell’altro. Infatti, nell’ordine spontaneo degli affari internazionali la ricchezza dei vicini è precisamente lo stimolo che porta tutti a condizioni migliori. Insomma, quando si parla di commercio internazionale, non si tratta di rubarsi le fette della medesima torta, ma di cooperare per ingrandire la torta stessa – anche quando si tratta di collaborare con i propri nemici e rivali. Tutto ciò ha effetti a cascata fino sulla vita del singolo, che si ritrova non solo più ricco, ma bensì “nobilitato nella propria natura” dalla libertà economica quale norma nei rapporti politici. Secondo Mingardi, Cobden considerava la scoperta dell’America e la circumnavigazione dell’Africa i due momenti più importanti di tutta la storia umana. In effetti quelle scoperte avevano esteso il mercato internazionale, stimolando migliori istituzioni e una specializzazione del lavoro più sofisticata, con il risultato di poter offrire a tutti una più alta qualità della vita. Addirittura, l’autore si spinge fino a difendere l’estensione del capitalismo nel mondo nonostante i soprusi subiti dagli indigeni delle nuove colonie: non è stato infatti il commercio internazionale, bensì il fatto che esso sia stato promosso in un momento storico in cui le potenze europee seguivano logiche imperialiste, a portare tragedie e sventure oltremare. Proprio per questo, Cobden divenne a suo tempo una figura di spicco conosciuta per saper portare gli insegnamenti della Scuola di Manchester in economia politica, che rappresentava, nel governo inglese attraverso i suoi mandati alla Camera dei Comuni.
Per quanto riguarda la sua azione politica, Cobden si spese certamente come un difensore della borghesia del Paese, ed è riconosciuto come uno dei parlamentari che ha avvicinato di più l’allora primo ministro inglese (il tory Robert Peel) alle ragioni del ceto medio – senza mai, però, dimenticare anche le esigenze dei gruppi meno abbienti e delle ripercussioni positive che una maggiore libertà economica ha sul tenore di vita dei lavoratori più modesti. Si racconta che il suo movimento riuscì a radunare in breve giro di posta migliaia di persone ai suoi comizi sia a Manchester sia a Londra, tanto che si può dire a buona ragione che egli ebbe un impatto concreto sull’opera di liberalizzazione che, a livello mondiale, l’Inghilterra ebbe durante il XIX secolo. Oltretutto Cobden operò in un periodo che già di per sé stava vedendo non solo l’avanzata del capitalismo come sistema economico, ma anche una progressiva ondata d’impopolarità delle logiche protezionistiche. Quindi egli ebbe il merito di donare fondate ragioni teoriche e politiche a una strada già intrapresa dalle istituzioni di tutta Europa, volte a diminuire o talvolta abolire i dazi d’importazione in vari settori dell’economia. La campagna contro il protezionismo fu condotta con un’incredibile capacità di anticipare quella che sarebbe diventata la comunicazione politica contemporanea: in effetti, Cobden fu il fautore di una campagna “ibrida” per promuovere le proprie idee, che prevedeva per la prima volta in Inghilterra un tesseramento al proprio movimento per partecipare a eventi, sia culturali sia puramente sociali, nonché l’impiego del famoso slogan Pane a buon mercato.
Nel 1846 la carestia in Irlanda aiutò la conversione del primo ministro inglese alle idee di Cobden. L’introduzione di nuove liberalizzazioni attraverso l’abolizione totale dei dazi in interi settori dell’economia, inizialmente nelle isole britanniche, produrrà un autentico terremoto nel parlamento inglese. Il partito dei tory, infatti, dopo queste manovre si spaccherà in due proprio sulla questione del commercio internazionale: un evento che porterà l’ala progressista a fondare insieme ai whig il moderno partito liberale inglese. Da lì, il libero scambio sarà il criterio di divisione tra liberali e conservatori in Inghilterra e non solo, almeno fino agli anni Venti. Ma il progetto politico di Cobden era di ben più alto respiro: per lui il libero scambio è l’unico antidoto alla guerra nello scacchiere internazionale. Tanto che per difendere in parlamento queste sue idee liberali, dopo il 1846, suscitò scandalo citando in un suo discorso niente meno che George Washington. A suo giudizio il dovere dell’Inghilterra sarebbe dovuto essere l’emulazione dell’isolazionismo americano: rapporti economici aperti e fecondi col maggior numero possibile di Paesi, ma accordi politici stabili col minor numero possibile. Queste posizioni erano profondamente radicate nella sua lettura del conflitto sociale: poiché egli guardava alla guerra essenzialmente come allo sport degli aristocratici, i quali vivono di politica e fanno pagare il conto al resto del Paese, che vive di produttività ed economia. Togliere mansioni alla politica estera per sostenere l’operosità delle imprese nel mercato ai suoi occhi era l’unica via per arrivare alla prosperità e alla stabilità geopolitica.
Quella era l’epoca della Guerra di Crimea, che in Europa fu la prima guerra resa popolare presso l’opinione pubblica dalla stampa. Questa sarebbe stata una grande opportunità per creare una sorta di “coscienza di classe” per la borghesia e per generare un movimento contro l’espansione della sfera politica voluta dalla classe dirigente aristocratica. Tuttavia fu proprio in questo periodo che pian piano Cobden vide sfumare la propria popolarità, proprio per le crescenti ambizioni liberali della sua ideologia. E questo è uno dei motivi per cui, a livello di storia delle idee economiche e politiche, Cobden viene citato appunto solamente nelle sue considerazioni iniziali più pragmatiche e moderate. All’epoca, però, egli fu molto attivo anche a livello intellettuale durante le guerre intraprese dall’impero. In particolare, fu uno degli pochi sostenitori dell’idea secondo cui la guerra dev’essere ridotta dai governi a un duello civile: dovrebbero essere coinvolti nei conflitti solamente gli eserciti, ed economia e società civile non dovrebbero smettere di interagire. Le navi commerciali devono poter continuare ad attraccare nei porti nemici. Dove gli avversari di Cobden sostenevano l’estensione alle nazioni rivali di pesanti embarghi e sanzioni per far sentire alle popolazioni il peso delle ostilità, la sua fu proprio la voce fuori dal coro, che spingeva per individuare nella guerra un affare unicamente politico. Questa sua strenua opposizione ebbe comunque un ultimo effetto cruciale: il trattato Cobden-Chevalier che siglò definitivamente la non-belligeranza tra Inghilterra e Francia, dopo secoli in cui nelle due nazioni si respirava letteralmente la paura di venire invasi da un momento all’altro.