Il grande economista e premio Nobel Friedrich Hayek ha trascorso la sua vita a dimostrare la superiorità dell’ordine spontaneo rispetto all’ordine costruito negli affari umani. Nella sua opera The Fatal Conceit (1988) egli precisa che questo non è materia d’opinione ma di fatti. Nella versione inglese del testo, parla perfino di un fatto stupefacente (“astonishing fact”), espressione persa nella traduzione.
Egli dedica poi il resto del libro all’analisi del perché, nonostante si tratti di un fatto facilmente osservabile e dimostrabile, la grande maggioranza delle persone continua a preferire l’ordine costruito a quello spontaneo. A partire dal 1988, anno della pubblicazione della sopracitata opera, si può tuttavia costatare un certo progresso. Infatti il crollo del socialismo, esemplificato da quello dell’URSS un anno dopo, ha comunque messo in imbarazzo gli adepti della pianificazione centralizzata e ha messo in evidenza il pericolo che si corre quando ad un piccolo numero di persone viene affidato il compito di prendere delle decisioni per la maggioranza delle persone.
Un progresso relativo
Ma questo non impedisce che la maggioranza continui ad approvare la gestione centralizzata di numerosi settori considerati troppo “importanti” per essere abbandonati al mercato. Insomma il mercato sarebbe ideale per le frivolezze della vita come la moda, ma non appena si tratta di cose serie come la salute, la cultura, l’educazione, la previdenza, l’energia, e in parte i media, si preferisce l’ordine costruito. Dunque il progresso è relativo.
Aggiungerei inoltre che potremmo invertire la proposizione di Hayek dicendo che è un fatto stupefacente che la maggioranza preferisca l’ordine costruito in tutte le aree importanti. Come mai numerosi industriali sostengono l’idea di una armonizzazione dell’imposizione delle imprese al livello dell’UE? Perché la stessa legittimità dell’armonizzazione delle norme e delle regolamentazioni economiche in tutto il continente non è affatto contestata? Perché i commentatori si lamentano all’unanimità per il fatto che il mercato unico europeo dimori incompiuto fintanto, dicono loro, che i sistemi di sicurezza sociale non saranno armonizzati per tutta Europa? Perché la maggioranza delle popolazioni rimane perfettamente indifferente ai progetti politici sempre più vasti e centralizzati, e li sostiene perfino?
I sostenitori dell’uniformazione e della centralizzazione sognano di un terreno di gioco “piatto” (il famoso “level playing field”), dove le differenze verrebbero appiattite, dove la concorrenza diverrebbe “equa”. Sognano di un mondo dove potremmo godere dei benefici della concorrenza senza gli sforzi ch’essa richiede. Inutile dire che questo mondo non esiste…
Il problema dell’informazione
La ragione del potere della decentralizzazione nel gestire gli affari umani è duplice. L’assenza d’autoritarismo risolve da un lato il “problema dell’informazione” che Hayek descrive nel suo articolo assolutamente fondamentale intitolato “L’utilizzazione dell’informazione nella società” (“The use of knowledge in society”, 1945).
In un sistema autocratico le decisioni del capo o di un piccolo numero di persone nei confronti dell’insieme dell’unità coinvolta beneficeranno unicamente delle conoscenze di quelli che prendono le decisioni. In un sistema decentralizzato, vale a dire atomizzato, come il sistema del mercato libero, la somma di tutte le decisioni individuali beneficerà di tutte le conoscenze di luogo, di spazio e di tempo disponibili nelle menti di tutte le persone coinvolte. Non c’è alcun paragone possibile tra i due sistemi! Le decisioni decentralizzate utilizzano molte più informazioni pertinenti rispetto alle decisioni centralizzate! Ci saranno di sicuro meno errori!
E il sistema decentralizzato comporta d’altra parte un bonus inestimabile: esso possiede un meccanismo di individuazione degli errori. Si tratta del processo naturale di selezione, fondato sulla libera scelta. Grazie alla concorrenza che regna nei sistemi decentralizzati gli errori sono facilmente identificati e scartati lasciando che le soluzioni valide emergano naturalmente in superficie. Senza concorrenza, non c’è alcuna possibilità di scoprire rapidamente gli errori inevitabili dovuti alla nostra “ignoranza irriducibile”. Il processo naturale di selezione si trova ovunque la vita esiste, opera 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e se ne frega altamente del “level playing field”. Al contrario: più c’è diversità, più il sistema naturale di selezione funziona.
Per contrasto, le decisioni prese dal piccolo numero nei confronti del gran numero sono di un ordine radicalmente diverso. Il capo di famiglia, d’impresa o anche di governo, utilizzerà sempre meno informazioni di quelle esistenti nel gruppo da loro governate. Ma se le unità sono relativamente piccole (famiglie, imprese, club, associazioni, ecc.), il decisore avrà un accesso a un numero relativamente maggiore d’informazioni pertinenti all’insieme del gruppo, rispetto a quando questo è vasto. Inoltre, più il gruppo è piccolo, più ci sarà concorrenza fra i diversi gruppi. Ecco perché l’economia funziona molto bene attraverso delle strutture autocratiche (imprese) finché esse si trovano in concorrenza fra di loro (senza menzionare la responsabilità legata alla proprietà privata, assente dalla sfera pubblica). Più le unità gestite dall’ordine costruito sono estese, invece, meno le informazioni e meno la concorrenza potrà essere mobilizzata per garantire una gestione corretta degli affari nel loro insieme. Gli errori si accumuleranno — fino al crollo, come nel caso del socialismo.
Un conflitto di valori
I liberali non potrebbero esserne più coscienti: le loro idee sono condivise da un infimo numero di persone. Perché? La spiegazione di Hayek per quest’altro “fatto stupefacente” è che i valori morali che sottostanno all’ordine spontaneo (individualismo, proprietà privata, libertà, responsabilità, rispetto della parola data, rispetto dei contratti) sono in conflitto diretto con i valori morali della piccola tribù primitiva che hanno plasmato la psicologia umana durante centinaia di migliaia di anni, cioè la solidarietà e l’altruismo. È cercando di applicare su grande scala i valori propri della vita in piccoli gruppi che distruggiamo la società attraverso lo Stato Sociale. Non soltanto la gente non comprende da dove proviene la prosperità di cui gode, ma odia perfino i valori sulla quale si fonda.
Il filosofo Daniel Wagnière (membro del comitato dell’Institut Libéral), in un recente saggio molto istruttivo (The Rise and Demise of the Individual, 2017) si pone lo stesso problema e nota che “la sfortunata trasformazione dello Stato riduce la libertà di scelta dell’individuo e lo svuota sistematicamente della sua responsabilità”. L’autore offre diverse spiegazioni, tra cui una vicina a quella di Hayek: “la credenza che le decisioni politiche possano rimpiazzare la scelta individuale, e la convinzione che vi siano delle soluzioni formali e centralizzate a tutti i problemi”. Un’altra spiegazione propria delle democrazie è la seguente: ci vuole tanto tempo affinché le decisioni politiche dispieghino i loro effetti completi che l’opinione pubblica è incapace di legare le decisioni errate del passato ai disastrosi risultati di oggi.
Mi permetto di aggiungere ancora una spiegazione forse troppo evidente: l’autoritarismo è il sistema di governo umano di default. La storia, senza parlare della preistoria, è piena di civiltà organizzate secondo il modello autoritario. Gli esempi delle società organizzate su una base liberale sono rarissime, e per certi, sono in via di estinzione. A questo punto, è davvero così sorprendente che la maggioranza delle persone abbia paura della libertà, del liberalismo, e della responsabilità che essi rappresentano?
Ma non tutto è perduto! Vi sono due forze che militano a favore della libertà. La prima, è il “fatto stupefacente” (spesso sconosciuto). La seconda è l’istruzione: la libertà convince attraverso i suoi risultati! La maggior parte delle persone confrontate con il “fatto stupefacente” che l’ordine spontaneo è di gran lunga superiore rispetto a quello costruito sono perfettamente disposte a cambiare opinione. Se non lo hanno fatto prima è perché non hanno mai riflettuto alla questione. Attraverso l’informazione e l’istruzione possiamo accelerare il processo naturale di selezione che opera a favore della decentralizzazione, della libertà — e della prosperità.
L’autore è professore emerito all’Università di Ginevra, presidente del Comitato dell’Institut Libéral. Il testo si basa sulla conferenza tenuta durante la serata-dibattito “Diversité ou centralisme?” dell’Istituto Liberale il 19 ottobre 2017 a Ginevra.